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La ricerca di una identità comune: è possibile in un territorio in conflitto continuo?

Cosa significa essere israeliano? Osservando la società israeliana da Tel Aviv, dove mi trovo, è difficile rispondere a questa domanda. Ovviamente, ogni nazionalità ha le sue divisioni interne, le sue particolarità individuali, ma tutti siamo capaci di pensare a un immaginario comune (almeno storico) del nostro collettivo nazionale. Per esempio, quando pensiamo a cosa significa essere italiano possiamo associarlo a un territorio con delle frontiere chiare, una cultura ed ad alcune tradizioni che ci uniscono (come la gastronomia). Ma dall’altra parte del mediterraneo, mi trovo in un paese dove questa domanda genera molte tensioni, e la maggior parte delle volte non porta mai a una risposta univoca e soddisfacente.


Il kibbutz, un’ unione ormai persa?


Nel periodo delle prime migrazioni, che comunque erano molto minori rispetto a quelle dopo la seconda guerra mondiale, in cui si è iniziata a formare un’idea di “società israeliana”, l’ideologia del sionismo aveva creato un senso di appartenenza e di ideologia condivisa che rappresentavano le principali fonti di attrazione delle migrazioni in Palestina.


Le prime comunità di persone ebraiche nel XX secolo in Israele erano i kibbutz: colonie agricole sorte attorno al 1910 dove una serie di membri condivideva la proprietà di un terreno, delle strutture e dei beni attraverso il lavoro, ma senza scambio di denaro.


Dietro l'organizzazione del kibbutz c’erano anche una serie di valori di solidarietà ed un progetto di paese comune che quindi identifica ogni persona come membro della comunità, facilitando la creazione di un'unica identità.


Un’identità fratturata dal tempo e la storia?


Al giorno d’oggi esistono ormai pochi kibbutz, e la maggior parte sono stati privatizzati, perdendo la loro essenza di rete unica intrapersonale, diventando terreni di speculazione edilizia in molti casi.


Con la liberalizzazione dello stato e la sua consecutiva “secolarizzazione” in un piano formale, essere israeliano (cittadino di Israele) non è più sinonimo di essere ebreo. Fatto che rende ancora più difficile identificare una visione dello stato condivisa da tutti i cittadini.


L’economia circolare del kibbutz, che in passato era predominante nei modelli economici del paese, ora ha lasciato spazio a un tipo di economia incentrato sulla crescita, lo sviluppo, la libera concorrenza e il mondo delle startups (nuove imprese che nascono e crescono esponenzialmente).



Spiaggia di Jaffa, Tel Aviv, Israele. Ottobre 2021. Foto di: Berta Flores Aricò


Il problema dell’identità diventa un problema di disuguaglianza. Chi non è considerato israeliano?


Le conseguenze di questa tensione o incertezza davanti al concetto d'identità sono le discriminazioni e le ineguaglianze che si creano attorno, e va da sé che alla base delle tensioni identitarie c’è la questione legata al territorio. Chi non è considerato israeliano, anche se questo è già difficile da definire, diventa un estraneo e rimane tagliato fuori dalle risorse economiche ed energetiche del territorio, necessarie per sopravvivere.


Quindi, il problema dell’identità non è una semplice questione di diversità sociale, ma una frattura politica e nazionale che può diventare anche una situazione di insostenibilità e disuguaglianza economica, perché ha luogo in uno scenario di conflitto, dove capire la propria identità è un atto sociale, che determina una serie di opportunità e contesti, ed è soprattutto un atto politico (che per ora resta incerto).


C’è un modo di rivivere l’essenza del kibbutz e la società israeliana? Dove porterebbe questa? Potrebbe risolvere le disuguaglianze?



Tre israeliani intraprendendo diverse strade nel quartiere di Florentin. Tel Aviv, Israele. Foto di: Berta Flores Aricò






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